L’esito della negoziazione, in un’operazione di M&A, è inevitabilmente la determinazione di un prezzo ovvero di un valore delle azioni o quote della società oggetto di cessione.
Colui che è chiamato a tale valutazione deve porre attenzione alla scelta del metodo in base alle caratteristiche dell’azienda, del settore di appartenenza o di altri fattori endogeni ed esogeni, optando per l’approccio più adeguato.
La prassi generalmente seguita ha portato a distinguere due approcci differenti, che vengono definiti:
- “equity side”, mediante il quale si ottiene in maniera diretta il valore del capitale netto (c.d. equity value);
- “asset side”, che porta invece ad un enterprise value, da rettificare, per giungere al valore del capitale netto, tenendo conto del servizio al debito.
La scelta di uno dei due approcci influenzerà a sua volta la sia le grandezze finanziarie che il tasso di attualizzazione utilizzati nel processo di stima.
CARATTERISTICHE DEI DUE APPROCCI
Prima di vedere come avviene la valutazione della struttura finanziaria dell’azienda, nonché la scelta del tasso di attualizzazione, è bene fare un breve cenno agli elementi che possono condizionare l’adozione di un metodo piuttosto che di un altro.
Tra questi rivestono senz’altro una certa rilevanza il settore di appartenenza della società target nonché la consistenza del pacchetto di quote o azioni oggetto della cessione (se di maggioranza o minoranza).
Sappiamo, ad esempio, che se l’approccio maggiormente seguito in ambito bancario o assicurativo è l’equity side, al contrario, in aziende non finanziarie sarà l’asset side ad avere maggiori chance di predilezione. Parimenti, il primo approccio sarà più adeguato a valutare quote di minoranza e viceversa per il secondo.
Al loro interno i due metodi valutativi si differenziano per le grandezze finanziarie di cui tengono conto e, in particolare, per la rilevanza rivestita dal debito.
Possiamo dire che, in prima istanza, il valore per l’acquirente sia costituito approssimativamente dalla sommatoria dei flussi operativi previsti in futuro. Poiché il Capitale investito netto può essere finanziato sia attraverso capitale proprio (equity) che in parte con capitale di terzi (debt) bisogna tenere conto della frazione di flussi futuri che verrà impiegata per la restituzione del debito.
In particolare, l’approccio asset side prevede che il valore del capitale economico si determini sottraendo ai flussi di cassa operativi futuri l’ammontare del capitale di credito, ovvero del debito, necessario per ottenere i flussi stessi, che verranno pertanto definiti Free Cash Flow Operativi (FCFO).
Differentemente l’equity side approach tiene già conto dei flussi di cassa finanziari insieme a quelli operativi, dati ad esempio dalla distribuzione di dividendi, da aumenti o diminuzioni di capitale, dalla negoziazione o rimborso dei debiti. In altre parole, sono considerate contestualmente tutte le variazioni che interessano tanto l’equity quanto il debito. Per questo motivo i flussi generati prendono il nome di Free Cash Flow to Equity (FCFE).
IL TASSO DI ATTUALIZZAZIONE
Se il valore di quanto è oggetto di acquisizione è dato dalla sommatoria di flussi che si manifesteranno in futuro è inevitabile che si debba individuare un tasso di sconto che trasformi l’entità dei frutti futuri in una quantità equivalente alla data di stima ovvero che “attualizzi il valore”.
Al punto I.19.1 dei Principi di Valutazione Italiani (PIV) si afferma che: “il principio base è che ricevere uno specificato flusso di cassa a una specificata data futura è equivalente a ricevere il valore attuale del flusso di cassa alla data di valutazione”.
Detto questo, il valutatore dovrà tenere conto, durante il processo di stima, della coerenza tra tasso e flussi sia in base al grado di rischio effettivo che alla natura del flusso stesso.
Pertanto, in un approccio equity side, basandosi su flussi disponibili per la proprietà aziendale, si ricorrerà ad un tasso che esprima solo il costo dei mezzi propri. Se la valutazione, invece, ha ad oggetto flussi unlevered si utilizzerà il tasso configurato come costo medio ponderato del capitale o Weighted Average Cost of Capital (WACC) che tiene conto del costo del capitale proprio e del costo del capitale di terzi.
FLUSSO DI CASSA OPERATIVO E PER IL CAPITALE
Abbiamo visto come l’approccio di valutazione adottato condizioni la configurazione del flusso finanziario prescelto. Il FCFO può essere visto come la misura della liquidità generata o assorbita dalla gestione operativa dell’azienda.
Si potrebbe anche dire che tale grandezza pone in correlazione la capacità di autofinanziamento generata dal reddito prodotto e le variazioni inerenti alla dinamica del capitale investito, determinandone la sintesi.
Nella sua definizione rilevano in particolare l’EBIT (Earning Before Interest and Taxes) e la variazione del capitale investito nella gestione operativa. Per arrivare al FCFO, infatti, bisogna prioritariamente imputare all’EBIT le imposte ad esso pertinenti e successivamente integrare il risultato ottenuto con le grandezze non monetarie – quali ammortamenti, svalutazioni e accantonamenti – che non incidono sulla dinamica della liquidità. Si ottiene così una dimensione dell’autofinanziamento che rappresenta la capacità dell’azienda di produrre liquidità attraverso la gestione caratteristica.
Ovviamente anche le operazioni che afferiscono all’area finanziaria dell’azienda possono generare effetti misurabili in termini di liquidità. È il caso, ad esempio, come abbiamo visto, del pagamento degli interessi passivi e degli oneri finanziari o dell’incasso degli interessi attivi, degli aumenti di capitale sociale a pagamento o viceversa dei suoi rimborsi, della distribuzione di dividendi.
La valutazione di questo tipo di variazioni della liquidità porta dal FCFO al FCFE ovvero al flusso disponibile per la proprietà. Ai flussi così determinati andrà, come detto, applicato il tasso di attualizzazione più adeguato.
CONCLUSIONI
Gli aspetti che abbiamo analizzato non afferiscono ad una dimensione puramente teorica o speculativa del processo valutativo. Essi assumono una rilevanza imprescindibile durante una negoziazione e ne determinano l’esito allorché si tratta di trovare la “quadra” sul prezzo di cessione.
Dalla scelta di un determinato approccio, come abbiamo visto, discende la determinazione del flusso finanziario considerato nella valutazione e ad esso si applicherà un tasso di attualizzazione differente a seconda che si tratti di flussi levered o unlevered. È bene quindi tenere conto di queste diverse dimensioni avendo coscienza che la traiettoria e il punto di caduta di una valutazione saranno condizionati dalle scelte iniziali.
Possiamo, ad esempio, considerare l’EBITDA una grandezza unlevered dal momento che non tiene conto del servizio al debito. Pertanto, se si sceglie l’utilizzo di un multiplo dell’EBITDA per valutare un’azienda stiamo adottando un approccio asset side. Si otterrà quindi un enterprise value a cui occorrerà sommare algebricamente la Posizione Finanziaria Netta (PFN), che rappresenta l’indebitamento netto dell’azienda, per giungere all’equity value. Abbiamo visto altresì che in specifici settori di attività, quali ad esempio quello bancario, finanziario e assicurativo, le operazioni aziendali hanno ovviamente un impatto differente sulla generazione di liquidità rispetto agli altri settori industriali, per cui si dovrà giocoforza prediligere un approccio che tenga conto delle grandezze di tipo finanziario, vale a dire un approccio equity side.
Sono fattori molto concreti quindi a indirizzare il processo di stima sin dall’approccio prescelto, motivo per cui la conoscenza di certe differenze valutative risulta imprescindibile quando in gioco c’è la cessione di una partecipazione o di un’azienda.