Profili fiscali del conferimento di proprietà intellettuale      
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Mediante i conferimenti i soci dotano la società delle risorse patrimoniali utili al conseguimento dell’oggetto sociale.

Essi hanno pertanto una “funzione produttiva” e costituiscono i mezzi personali che il socio apporta all’attività economica della società, a cui trasferisce la titolarità, ottenendo come corrispettivo una quota di partecipazione al capitale sociale

Nella Srl post-riforma del 2003, se non è diversamente previsto dall’atto costitutivo, “possono essere conferiti tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica” (art.2464 c.c.). Ciò comporta che oltre a denaro, proprietà immobiliari, opere e servizi, possano essere conferiti anche diritti di natura diversa, tra cui quelli relativi a una proprietà intellettuale.

Il tema ha assunto sempre maggiore rilevanza nel contesto della c.d. knowledge society in cui i beni intangibili, in particolare marchi e brevetti, hanno assunto un’importanza sempre più rilevante nella valutazione del capitale complessivo di un’azienda.

Così come la proprietà di privative industriali rappresenta uno dei requisiti oggettivi per le imprese che vogliono ottenere la qualifica di start up o PMI innovative

Ma allorché una persona fisica, che intenda acquisire una quota nel capitale di una società, conferisce, ad esempio, la titolarità di un marchio o di un brevetto a quale tassazione è sottoposta? Qual è il trattamento fiscale del conferimento in srl di una proprietà intellettuale?

DISCIPLINA TRIBUTARIA

La disciplina fiscale dei conferimenti trova il suo fondamento a partire dall’art. 9, c. 2 del TUIR, in base al quale “in caso di conferimenti o apporti in società o in altri enti si considera corrispettivo conseguito il valore normale dei beni e crediti conferiti”.

Nel caso specifico di un marchio o di un’opera dell’ingegno si rende necessario, ai fini tributari, stabilire quindi la natura reddituale assunta da tale corrispettivo. Su questo aspetto, in seguito all’introduzione del Testo Unico sulle Imposte o T.U.I.R. (D.P.R. n. 917/1986), si è aperto un dibattito ampio, consolidato da diverse pronunce in merito. 

Bisogna dire che già la relazione ministeriale al T.U.I.R. si esprimeva in maniera estremamente chiara rispetto ai marchi, affermando che: “ai redditi derivanti dall’utilizzazione economica di marchi di fabbrica e di commercio non si può riconoscere né natura di redditi di lavoro autonomo, né quella di redditi diversi dato che l’utilizzazione dei marchi d’impresa (mediante cessione o concessione in uso) avviene o in sede di trasferimento dell’azienda o di un ramo di essa o mediante la concessione di licenze non esclusive, e quindi nell’esercizio d’impresa”. 

REDDITO DA LAVORO AUTONOMO

Invero, con l’introduzione del T.U.I.R., anche la formulazione dell’art. 53, c. 2 lett. b), relativo ai redditi di lavoro autonomo, offre indicazioni molto chiare. La norma, infatti, li definisce come “i redditi derivanti dall’utilizzazione economica, da parte dell’autore o inventore, di opere dell’ingegno, di brevetti industriali e di processi, formule o informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico, se non sono conseguiti nell’esercizio di imprese commerciali”. 

Si evince, innanzitutto, che la norma non cita espressamente i marchi tra le proprietà intellettuali che possono rientrare in tale categoria reddituale.

Dovendosi considerare la norma tributaria tassativa, il silenzio in merito è interpretato come mancanza assoluta di ogni requisito necessario affinché un corrispettivo derivante dallo sfruttamento economico del marchio, tramite cessione o concessione, possa essere qualificato come reddito di lavoro autonomo

La questione più generale verte proprio sull’esatta connotazione reddituale di un qualunque corrispettivo tratto dal trasferimento di una proprietà intellettuale.

Dal momento che le fattispecie reddituali sono tassativamente prescritte dalle norme tributarie, costituisce reddito ciò che si ricava dal proprio lavoro, dal proprio capitale, dai frutti di terreni e/o immobili, e, infine, da altre fonti rientranti nell’elencazione, sempre tassativa, di cui all’art. 67 del TUIR, che disciplina i cosiddetti “redditi diversi”. 

OPERE DELL’INGEGNO E REDDITI DIVERSI

La norma in questione, al comma 1, lettera g), classifica tra i redditi diversi quelli “derivanti dall’utilizzazione economica delle opere dell’ingegno, di brevetti industriali e di processi, di formule e informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale e scientifico”. 

Di nuovo il marchio non è menzionato, producendo un vulnus che fa propendere la maggioranza della dottrina verso la conclusione che i redditi ricavabili dal marchio non siano di fatto tassabili non trovando collocazione in alcuna norma tributaria. 

Ma anche rispetto alle opere dell’ingegno e ai brevetti, così come per le altre fattispecie citate, si fa rilevare la sola utilizzazione economica, da intendersi come lo sfruttamento di tutti o parte dei diritti patrimoniali del brevetto, ferma restando la proprietà in capo all’inventore, mentre non si fa nessun cenno alla cessione.

In questo è soprattutto la dottrina civilistica a venire a sostegno dei tributaristi e della tesi restrittiva per cui il trasferimento di un brevetto, da parte di una persona fisica non esercitante attività di impresa o di lavoro autonomo, non produca reddito tassabile neanche ai sensi dell’art. 67 del TUIR. 

In altre parole, essendo la cessione un contratto tipico essa non può essere assimilata all’utilizzazione economica o allo sfruttamento che costituiscono fattispecie giuridiche autonome e basano su presupposti diversi. 

LA SENTENZA DELLA CTR DEL VENETO

A conferma di quanto sopra asserito è intervenuta la Ctr del Veneto con la sentenza n. 524/2019, avente ad oggetto il conferimento di un marchio da parte di privati in un’operazione di aumento del capitale di una srl

Nel caso di specie la Commissione tributaria regionale ha stabilito che: “l’assoggettamento ad imposizione fiscale dell’incremento di ricchezza derivante, come nella fattispecie, dalla cessione o utilizzazione economica dei marchi concessi da privati, non appare, dopo le innovazioni introdotte dal D.lgs. 480/92, espressamente disciplinato dal legislatore”. 

L’agenzia delle Entrate di Padova aveva in pratica sostenuto che si trattasse comunque di reddito e, quindi, di fattispecie tassabile, al di là delle disposizioni di legge. 

Tuttavia, il Collegio giudicante ha valutato che “se da una parte l’acquisizione del marchio determina a favore dell’impresa acquirente un costo deducibile – ed effettivamente dedotto – del reddito di impresa, dall’altra il corrispettivo pagato ai soci è costituito in parte come aumento di capitale ed in parte come riserva sovrapprezzo azioni”. 

Inoltre, ha ulteriormente specificato la sentenza, “anche a voler accettare la tesi dell’Ufficio, il Collegio ritiene che la cessione dei marchi non possa essere equiparata all’assunzione di un obbligo di fare, non fare e permettere, che è presupposto necessario e sufficiente per ricomprendere il relativo corrispettivo tra i redditi diversi indicati dall’art. 67 del Tuir, il quale dispone l’assoggettamento a tassazione”. 

E questo per due ordini di ragioni, entrambi rilevanti per l’argomento trattato. 

Da una parte, a parere del Collegio, l’Ufficio non avrebbe dato alcuna prova del fatto che la cessione abbia prodotto un incremento di ricchezza e, dall’altra, la cessione del marchio non può essere assimilata in alcun modo alla concessione d’uso che ne consentirebbe l’inserimento dei proventi tra i redditi diversi ex articolo 67del T.U.I.R..

Il diritto di concedere in uso, infatti, presuppone la proprietà, mentre nella fattispecie, trattandosi di trasferimento del marchio, il cedente si spoglia della proprietà e quindi di ogni diritto sul bene stesso, incluso quello di concedere in uso.

Tenuto conto che in base all’articolo 23 della Costituzione “nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge” la CTR ha accolto il ricorso del contribuente. 

CONCLUSIONI

La portata ampia della sentenza della CTR del Veneto, con l’ampia disanima svolta del caso in esame, ci porta a concludere che il conferimento di una proprietà intellettuale nel capitale sociale di una società non possa essere assoggettato a tassazione.

Lo scambio che avviene con le partecipazioni al patrimonio netto non configura una fattispecie di reddito tassabile, tanto meno, per le ragioni viste sopra, assimilabile alla categoria residuale dei redditi diversi ex art. 67 del TUIR. 

È una constatazione di fatto che amplia le possibilità, per chi detiene proprietà intellettuali suscettibili di valorizzazione, di capitalizzare le proprie imprese o di partecipare ad iniziative di start-up innovative, cogliendo le opportunità offerte dalle normative in materia. 

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