Nuovi criteri per la residenza fiscale delle società e degli enti

Il 16 ottobre 2023 il Consiglio del Ministri ha licenziato, dopo l’esame preliminare, la bozza di decreto legislativo relativo alla riforma della fiscalità internazionale, in attuazione della più ampia legge delega 9 agosto 2023, n. 111 (“Delega al Governo per la riforma fiscale”).
Si tratta di un intervento epocale se si considera che l’attuale assetto normativo risale all’art. 2 del DPR 598/73, quindi a mezzo secolo fa. Lo è tanto più perché sancisce in maniera rinnovata i criteri in base ai quali una società o un ente giuridico in generale debba considerarsi a tutti gli effetti residente in Italia.
La normativa attuale, contenuta nell’art. 73 comma 3 del TUIR, statuisce che sono residenti nel territorio dello Stato le società e gli enti che per la maggior parte dell’anno stabiliscono in Italia la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale.
L’elencazione di tali criteri non ha valenza gerarchica, come è stato più volte chiarito dall’amministrazione finanziaria, per cui basta che se ne verifichi uno perché la residenza sia attratta nel territorio del nostro paese con ciò che ne consegue in ambito fiscale sotto il profilo delle imposte dirette.
La scissione mediante scorporo, operazione neutrale per conferimento di beni e aziende

Il D.lgs. 19/2023, inserendo l’art. 2506.1 nel Codice civile, ha introdotto in Italia la “scissione mediante scorporo”, un istituto di grande interesse per il suo essere alternativo all’operazione di conferimento e alla scissione tradizionale, pur mantenendo il carattere di neutralità fiscale.
Essa permette alla società scissa di assegnare parte del proprio patrimonio a una o più beneficiarie neocostituite ricevendone in cambio le partecipazioni al capitale. La prima differenza rispetto alla scissione ordinaria è quindi l’attribuzione delle quote o azioni in capo alla stessa scissa, anziché ai soci di quest’ultima.
Si può quindi parlare di una scissione parziale senza concambio. Il patrimonio netto contabile della società che viene scissa non subisce diminuzioni, in quanto semplicemente i beni di primo grado, ovvero gli asset conferiti, vengono rimpiazzati da beni di secondo grado, ossia le partecipazioni della beneficiaria.
Il contratto di affitto d’azienda

Sono diversi gli ambiti e le circostanze in cui il contratto di affitto d’azienda dispiega le proprie potenzialità. Non vi è dubbio che tale tipo di accordo presenti una flessibilità di fondo, data dal fatto che non si realizza un trasferimento a titolo definitivo bensì solo la concessione in godimento di un’azienda, o di un ramo di essa, a fronte del pagamento di un canone, per un tempo determinato.
Ciò consente, ad esempio, di ricorrere all’affitto in un periodo precedente all’acquisizione di un’azienda così da permettere al futuro acquirente di valutarne e testarne sul campo la redditività mentre al proprietario-affittante è garantito un reddito stabile e determinato per l’intero lasso di tempo.
La stessa utilità si esplica nella gestione del passaggio generazionale, allorché il capofamiglia voglia rendere graduale il trasferimento agli eredi, o nella creazione di joint venture fra soggetti che vogliano dare solidità giuridica al proprio legame o, infine, durante la crisi di impresa per garantire la continuità aziendale in vista di una successiva vendita definitiva.
Eppure, tale tipologia di contratto, spesso approcciato in modo improprio, rimane misconosciuto nei suoi caratteri essenziali alla gran parte degli imprenditori che ne ignorano aspetti giuridici e negoziali ma anche e soprattutto vantaggi e possibilità di impiego.
Le polizze unit linked, strumenti di protezione e passaggio del patrimonio

Le polizze unit linked rivestono un particolare interesse sotto il profilo giuridico e fiscale in quanto, pur trovandoci di fronte a strumenti assicurativi tipici, la coesistenza di cause miste all’interno dello stesso contratto può portare, a seconda dei casi, a una prevalenza dell’aspetto finanziario rispetto a quello previdenziale, con implicazioni tanto legali quanto tributarie.
I presupposti normativi su cui si basano, hanno favorito un impiego frequente delle unit linked in ambito successorio e di protezione del patrimonio, attirando l’attenzione dell’amministrazione finanziaria sulle circostanze di abuso dello strumento stesso.
Circostanza questa foriera di numerose pronunce giurisprudenziali di cui bisogna tenere conto nel momento in cui si confeziona e si sottoscrive un contratto assicurativo con tali caratteristiche.
Valutazione di una start-up innovativa: quale metodologia?

La necessità di valutare un’azienda può sorgere per molteplici motivi: dalla trasformazione della forma societaria alla cessione delle quote o del pacchetto azionario, fino ad operazioni di aumento di capitale con ingresso di nuovi soci.
In particolare, le società in fase di start-up, dopo un periodo di avvio e iniziale crescita, possono manifestare la necessità di attrarre capitali da impiegare in investimenti in strutture produttive, sviluppo di asset immateriali o in capitale circolante.
Valutare una start-up, tanto più se innovativa, presenta diverse problematiche all’esperto, primo tra tutti quello di avere solitamente una ridotta o nulla serie storica alle spalle su cui fare affidamento per validare le proiezioni future.
Sappiamo che il metodo di valutazione prescelto deve avere una sua coerenza con la natura e le caratteristiche dell’incarico affidato. Per cui, bisognerà tenere conto della finalità della perizia ma anche delle informazioni disponibili. Per potere, quindi, approcciare la stima in maniera analitica, attualizzando i flussi annuali, è necessario disporre di un piano industriale che determini esplicitamente tali dati.
Il Business Plan Risk Adjusted nei processi di pianificazione strategica

Se predisporre un business plan, allorché si avvia un’iniziativa imprenditoriale, significa dotarsi di una mappa dettagliata prima di iniziare un avventuroso viaggio, implementarlo tenendo conto di tutti i rischi sistemici ed aziendali e della loro specifica probabilità di avveramento vuol dire tracciare una rotta tra imprevisti e difficoltà di tragitto, modellandone curve e deviazioni.
Fuor di metafora, è chiaro che qualunque business plan si basa su ipotesi e assunzioni che hanno intrinsecamente una certa possibilità, più o meno elevata, di realizzarsi. Ci si muove, quindi, in un quadro di incertezza dovuta al fatto che diverse voci del piano hanno natura di stima ma soprattutto un certo grado di soggettività e aleatorietà.
Con il termine “business plan risk adjusted” (BPRA) ci si riferisce ad un piano che incorpora l’analisi, anche probabilistica, dei rischi e delle incertezze insite nel progetto aziendale. Può essere considerato parte del processo di Enterprise Risk Management (ERM) che, a sua volta, si integra con gli altri aspetti decisionali e strategici dell’impresa.
Fondamentalmente il BPRA si basa su un’analisi di tipo qualitativo, che ha ad oggetto il mercato di riferimento e le variabili di cambiamento che esso presenta, e una di tipo quantitativo tesa a determinare la volatilità delle componenti economiche e finanziarie del business plan.
Valutazione delle quote o azioni in operazioni di M&A: approccio equity side e asset side

L’esito della negoziazione, in un’operazione di M&A, è inevitabilmente la determinazione di un prezzo ovvero di un valore delle azioni o quote della società oggetto di cessione.
Colui che è chiamato a tale valutazione deve porre attenzione alla scelta del metodo in base alle caratteristiche dell’azienda, del settore di appartenenza o di altri fattori endogeni ed esogeni, optando per l’approccio più adeguato.
La prassi generalmente seguita ha portato a distinguere due approcci differenti, che vengono definiti:
– “equity side”, mediante il quale si ottiene in maniera diretta il valore del capitale netto (c.d. equity value);
– “asset side”, che porta invece ad un enterprise value, da rettificare, per giungere al valore del capitale netto, tenendo conto del servizio al debito.
La scelta di uno dei due approcci influenzerà a sua volta la sia le grandezze finanziarie che il tasso di attualizzazione utilizzati nel processo di stima.
Imposizione diretta delle cripto-attività: l’IRPEF dopo la Legge di Bilancio 2023

L’inquadramento fiscale delle cripto-attività fornito dalla Legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Legge di Bilancio 2023) pone definitivamente i proventi prodotti da tali asset digitali tra i redditi diversi di natura finanziaria trattati dall’art. 67 del TUIR.
La norma è stata modificata introducendo, al comma 1, la lettera c-sexies avente ad oggetto “le plusvalenze e gli altri proventi realizzati mediante rimborso o cessione a titolo oneroso, permuta o detenzione di cripto-attività, comunque denominate”.
È interessante anche notare come il medesimo articolo definisce le cripto-attività ovvero “una rappresentazione digitale di valore o di diritti che possono essere trasferiti e memorizzati elettronicamente, utilizzando tecnologia di registro distribuito o una tecnologia adeguata”.
Imposizione indiretta sul Trust dopo la Circolare 34/E/2022

La Circolare 34/E/2022 ha sancito la fine della dicotomia tra posizione dell’Amministrazione finanziaria e giurisprudenza in materia di imposte indirette da applicare alla istituzione di un Trust, più in particolare al conferimento di beni in esso.
Fino alla pubblicazione della bozza di circolare nell’agosto 2021, la posizione dell’Agenzia delle Entrate era netta nel ritenere assoggettabile ad imposizione ogni apporto di beni al Trust, seppure in contrasto con numerose sentenze della Corte di Cassazione di segno opposto.
All’origine di tale interpretazione vi era il fatto che nel 2006 l’imposta regolata dal TUS (Testo Unico sulle Successioni) fosse stata ripristinata anche per gli atti di “costituzione di vincoli di destinazione”.
Da qui l’estensione agli atti di segregazione in trust, per cui l’imposta, secondo il Fisco, doveva essere applicata al momento del conferimento dei beni, mentre non si configurava alcun momento impositivo allorché gli stessi beni venivano attribuiti ai beneficiari.
Profili giuridici delle criptovalute e conferimento in aumento di capitale

Il Bitcoin può essere visto come un “artefatto digitale trasferibile ma non duplicabile” (F.M. Ametrano in Bitcoin e cripto-attività, Il Sole 24 Ore 2013). Questa caratteristica intrinseca alla tecnologia che lo produce lo rende spendibile una volta sola (lo stesso bitcoin non può essere speso due volte) producendo una scarsità suscettibile di valorizzazione economica da parte del mercato.
Il mercato riconosce valore a una criptovaluta nella misura in cui essa è in grado trasferire valore economico in maniera sicura, veloce e con costi trascurabili. Il confronto più immediato è con i protocolli che permettono i bonifici bancari, le transazioni transcontinentali tra valute, con le loro lentezze e macchinosità, o l’uso delle carte di credito e la loro esposizione a usi fraudolenti.
Ma se il mercato, ovvero la comunità degli utilizzatori, conferisce ai crypto-asset un valore, come questo può essere speso in transazioni legali che prevedano prestazioni corrispettive? E, per quello che interessa a noi, come possono entrare a far parte del patrimonio di una società, ad esempio mediante conferimento a sottoscrizione del suo capitale sociale?